La vita senza social – a parte Substack (e Bluesky)
Un’oasi tranquilla dove prendersi una pausa rigenerante e, poco alla volta, trovare una nuova e più soddisfacente dimensione
Ne ho ben coscienza: in questo spazio personale su Substack, così come sull’altro a più mani – Scritture – di cui sono titolare e curatore (spazi, entrambi, che fatico a chiamare newsletter, secondo la terminologia qui in voga: non è questo il mio formato; rimarrò sempre legato ai blog degli anni Zero, portato dunque a scrivere e pubblicare post senza una cadenza predeterminata e senza un argomento fisso), al momento non faccio che riproporre roba vecchia, già utilizzata e apparsa altrove. In altre parole, a parte il cambio di piattaforma, finora non sto mettendo in campo novità significative. (Vedi, per esempio, penultimo e ultimo post.)
Mi dico che è una fase di studio, di rodaggio, di rimessa a punto.
Dopo anni di presenza attiva (utile e formativa, per certi aspetti gratificante, ma in pari tempo snervante e a tratti tossica) prima su diverse mailing list di traduttori, poi nella blogosfera, quindi su Twitter e, a singhiozzo, su Facebook; e dopo aver deciso di mettere una pietra sopra tutte queste esperienze (per stanchezza, insoddisfazione, cambiamenti multipli, l’età che avanza ecc.): non è per niente facile assumere da un giorno all’altro una diversa fisionomia e vestire con nonchalance panni di un’altra foggia.
Ci vogliono mesi, a volte anni, per affrancarsi da abitudini inveterate e acquisirne e consolidarne di nuove e appaganti. E non è nemmeno detto – né talora auspicabile – che ciò riesca fino in fondo.
Comunque, per farla breve, ora sono presente in rete solo su Substack.
Anzi, no: ci sono sempre il sito personale (ma è come se non esistesse, per quanto poco lo aggiorno) e quel Nonfiction.it che ancora devo capire bene che cosa farne. E c’è pure LinkedIn, ma mi ci affaccio talmente di rado che non lo metto nel novero delle piattaforme online da cui prendere le distanze.
E poi c’è Bluesky, sì, ma mi serve essenzialmente per tenermi aggiornato su quanto succede nel mondo e acquisire informazioni soprattutto in ambito culturale ed editoriale, non per intrattenere un pubblico; inoltre non è affollato, non è caciarone, non è sbalestrato dagli algoritmi, non è tossico. Finora, per quanto mi riguarda, è innocuo, quasi soporifero, non porta via tempo, informa quanto basta e chiusa lì.
Ciò detto, com’è adesso questa vita senza social?
(Andrebbe chiarito, lo so, che anche Substack è a suo modo un social, su app e web, grazie alle Note, che stanno acquisendo un ruolo sempre maggiore. E si prevede che nel giro di un anno diventerà mainstream, con l’afflusso in massa di nuovi creatori di contenuti, anche video, attirati dalla possibilità di fare bei soldi con gli abbonamenti. Di conseguenza, cesserà di essere una nicchia privilegiata per scrittori, giornalisti e simili, in fuga dai social più indigesti e interessati più che altro a scrivere e ricevere newsletter di contenuti testuali in forma lunga. Diventerà così un social bell’e buono, ma, si spera, senza guastarsi troppo da doversene presto andare anche da qui.)
Direi, per cominciare, che la vita lontano dai social è più rilassata e riposante.
Non c’è più la smania di sapere e far sapere, di condividere, di dire, di commentare, di leggere e far leggere, di vedere e far vedere. Non c’è più la droga di like e cuoricini, dei retweet e delle condivisioni. Non c’è più una continua distrazione e interruzione.
C’è una maggiore quiete, questo è sicuro. La tentazione e il bisogno di prendere di continuo in mano lo smartphone per controllare e aggiornare sono fortemente ridimensionati. Non fosse per i messaggi e gli status di WhatsApp e le notifiche delle email in arrivo, da cui è più difficile affrancarsi; e non fosse che l’app di Substack è a sua volta una miniera di notifiche, una volta iniziato a seguire questo e quello: si potrebbe mettere da parte il telefono per lunghe ore, quasi dimenticandosene, e badare soltanto a ciò che si sta facendo – anche niente. Un piacevole detox!
Ci si annoia di più, è vero, non c’è più un incessante bombardamento di stimoli, ma non è detto che sia un male. Il cervello ha finalmente maggiori momenti di tregua. Si va a letto senza avvertire il bisogno di controllare un’ultima volta lo smartphone, che a quel punto metti in modalità aereo, così dormi di più e meglio; e al mattino ti alzi ben riposato e senza l’ossessione di riprendere per prima cosa in mano il dannato aggeggio.
C’è pure un po’ di malinconia, non si discute. Vuoi o non vuoi, hai reciso una parte cospicua e importante di te: con la rinuncia a stare ancora su social che, in un modo o nell’altro, per anni ti hanno permesso di intrattenere rapporti con persone conosciute, rincontrate e frequentate in gran parte online, vedrai probabilmente allentarsi per sempre questi contatti.
In pratica, hai perso un tuo pubblico, per piccolo che fosse.
Ora sei su Substack, sì. Prima di chiudere con X/Twitter e con Facebook, ne hai dato notizia; qualcuno dei vecchi amici e follower ti segue anche qui, ma sono niente rispetto a quelli di prima. Di fatto, devi ricominciare quasi da capo, proponendo se possibile nuovi contenuti e studiando una nuova formula, se vuoi che qualcuno ti legga e ti apprezzi. Non puoi più vivere di rendita, sfruttando il piccolo capitale di amicizie e simpatie e conoscenze accumulate in passato. Devi rimetterti in discussione, tornare a darci dentro, come e più di quando hai cominciato l’avventura online sul finire degli anni Novanta.
È una nuova sfida, quella che hai di fronte. Una bella sfida. Una sfida a cui non puoi sottrarti, se ci tieni a dimostrare per primo a te stesso di essere ancora vivo e creativo, anziché un pezzo di antiquariato e un disco rotto, come invece negli ultimi tempi, su altri social, ti capitava spesso di sentirti.
Poco alla volta dovrai allora mettere a punto, anche online, un nuovo te, più al passo con i tempi.
È quello che stai provando a fare da diversi mesi, ma ancora non basta. Ti aspetta ancora molta strada in salita prima di poter dire “Oh, mo’ sì che mi piace!”, tirando per un attimo il fiato e godendoti l’ampio panorama che di colpo ti si para davanti. Però, dai, è bello già aver accettato la sfida di rimetterti in gioco.
Di sicuro ti senti più carico, più adrenalinico, proprio come quando vai in montagna (come da un paio di anni hai ripreso a fare, e questa volta seriamente, con l’iscrizione al CAI). Allo stesso tempo, sei più rilassato e anche più contento. E non è poco.
Bene, su questa piccola nota positiva chiudo il post. Anzi no. Aggiungo un altro pezzetto, scritto in precedenza, e che riguarda i giorni tra la fine di ottobre e i primi di novembre.
A ognuno il suo capodanno
Se n’è andato pure ottobre, accidenti! E così mancano due mesi alla fine dell’anno.
Parlo di anno civile, quello che va dal 1° gennaio al 31 dicembre, che non coincide con l’anno lavorativo. Per la maggioranza delle persone quest’ultimo va dal rientro dalla pausa estiva (sia stata goduta o meno) alle nuove ferie estive (di nuovo, a prescindere che saranno godute o no).
Ancora legato alla tradizione da cui provengo, io preferisco attenermi al vecchio calendario contadino, il quale fissava come suo capodanno il giorno di San Martino, l’11 novembre. Ciò significa che vivo le ultime settimane che separano da tale data come un periodo in cui sul fronte agricolo devo portare a termine i lavori residui dell’anno che si chiude (in termini pratici, dopo la raccolta delle olive, la preparazione dei terreni per la semina di grano, orzo e/o favino), mentre sul fronte intellettuale devo tenermi comunque allenato per poter riprendere a pieno regime, quanto prima, con traduzioni e simili.
E come è facilmente immaginabile, non è un periodo facile, su nessuno dei due fronti, per tanti motivi che però non mi metto a elencare: è – o dovrebbe essere – sotto gli occhi di tutti che non viviamo la migliore delle stagioni, mettiamola così. Sono in atto grandi cambiamenti – alcuni evidenti, altri più sottotraccia – e pochi depongono a favore; abbondano anzi le insidie.
Ciò non toglie che, nello spirito del bravo e coscienzioso agricoltore, anno dopo anno si debbano continuare a preparare per bene dei letti di semina e operare poi con cura affinché dai semi messi a dimora – talora innovando o osando un po’ più del normale – si riesca a ottenere alla fine un discreto raccolto, superando anche le varie avversità cui immancabilmente si andrà incontro.
Ed è con quest’animo che vado verso l’imminente capodanno contadino; o, per dirla con gli abruzzesi della Valle Peligna, verso il nuovo Capotempo.
Non ne avete mai sentito parlare e volete sapere di che si tratta? Rimando all’ultimo post su Scritture, l’altro spazio Substack che tengo in piedi e che invito a leggere.
Ciò detto, buon Capotempo!









Grazie Nazareno di queste riflessioni; anche io e mio marito Stefano, da giornalisti e analisti nomadi (al momento residenti in Canada), abbiamo fatto un percorso simile (seguendo un simile filo logico), e siamo approdati su Substack con la nostra “Canadiensis. Lettere dal Canada). Buon proseguimento e buon Capotempo! Arianna