Da quando sul finire degli anni Novanta hai cominciato ad avere una presenza attiva su internet, hai perso il conto dei profili aperti su un sito e sull’altro, così come delle pagine personali create. Quando in particolare è venuto il periodo dei blog, dopo quello delle mailing list tematiche, ti sei tuffato a pesce in quel nuovo ambiente di scrittura e condivisione, aprendone ben più di uno, sulle varie piattaforme, e provando e riprovando con contenuti e template, fino ad arrivare a un’impostazione grafica e stilistica che grosso modo ti soddisfacesse. E appena sei diventato un po’ più sicuro di te, ovviamente non ti sei fatto mancare un tuo dominio ad hoc, per darti un’immagine per così dire più professionale. In quel mentre si affacciavano però sulla scena i social, e gradualmente, per quanto non ti affascinassero, finivi anche tu per esserne risucchiato. E pur limitandoti a Twitter, e più saltuariamente Facebook, ecco che tutti gli spazi online precedenti, volta per volta allestiti con grande dispiego di tempo e di attenzioni, via via perdevano valore, tanto da non curarti più di aggiornarli.
Che peccato!
I social hanno reso molto più agevole esprimersi in rete e condividere contenuti, ma al tempo stesso hanno banalizzato parecchio questa espressione di sé, frammentandola al massimo e disperdendola in mille rivoli. Il risultato è che se uno volesse andarsi a rivedere quello che ha scritto e condiviso negli anni, rischierebbe di uscire pazzo: ci sono gli archivi, è vero, al bisogno basta fare delle ricerche per parole chiavi per ritrovare quella cosa che ricordavi vagamente di aver postato, ma è tutto sempre molto dispersivo.
Soluzione?
Provare a riorganizzare un po’ meglio quello che uno sente di avere da dire; ridargli una forma più organica e compiuta; porre in ogni caso un freno al frammento e alla dispersione.
La verità è che ci avevi già provato una decina di anni fa con Medium (e che te lo volevi far mancare?), pur senza grossi risultati: di fatto, fermo lì anche quello spazio.
E più di recente, poco meno di due anni fa, non ti sei addirittura lanciato in un progetto un pochino più ambizioso? Proporre in forma collaborativa, su un sito specifico, con tanto di dominio ben riconoscibile, assaggi di testi di nonfiction, italiani e stranieri, inediti e non. La cosa è andata avanti per qualche mese, pure con discreti riscontri, ma, complici questioni di natura personale, presto anche lì sono venuti a mancare la spinta e l’entusiasmo necessari per proseguire di buona lena. Non è ancora da ritenere un progetto morto, ma al momento non senti di avere le energie per ridargli il via.
E allora?
Allora, visto che ultimamente su Facebook ti stai di nuovo allungando con certi post che segnalano libri e autori, perché non organizzare quei contenuti — e gli altri simili che magari andrai a sviluppare — su un posto tutto loro, così da ritrovarteli uno di seguito all’altro, anziché dispersi nel mare magnum di quello che via via vai postando o rilanciando? Certo, potresti farlo sul tuo sito personale, così come sul vecchio blog. Ma è evidente che in entrambi i casi si tratta di soluzioni che sanno un po’ di datato. E tu soprattutto hai bisogno di misurarti con qualcosa di nuovo, come hai sempre fatto nei momenti ripetuti in cui il vecchio, l’abusato e il risaputo ti vengono a noia.
Dunque, visto che ora c’è questo Substack che riscuote grande interesse, specialmente nell’ambito di chi produce contenuti a livello giornalistico e in vario modo culturale, perché non fare una prova anche qui? Per male che vada, avrai comunque appreso le nozioni di base per districarti in questo nuovo ambiente.
Domanda, però: che nome dare allo spazio? Potresti dargli il tuo, senza tanti problemi. La verità è che, pur desiderando misurarti con il nuovo, in parte vorresti riandare alla filosofia di quando tenevi un blog e di conseguenza adottare un nome che già di suo dica qualcosa, alludendo a quelli che potrebbero esserne i contenuti.
Ora è successo che pochi giorni fa riprendessi in mano un vecchio Tascabile Einaudi intitolato Pavese giovane, un’edizione fuori commercio, per i lettori e gli abbonati de «l’Unità», realizzato nel quarantennale della morte di Cesare Pavese e allegato al quotidiano del 12 settembre 1990. È un volume che, come recita la quarta di copertina, presenta «il Pavese delle Poesie giovanili e dei primi racconti di Ciau Masino. Gli esperimenti letterari dal 1923 al 1932 del grande scrittore piemontese. Un autoritratto malinconico e allegro, fresco e generoso. L’inaugurazione di una difficile educazione sentimentale».
Tra i racconti in questione, avevi un vago ricordo di uno intitolato “Religiosamente”, e sei così andato a rileggertelo. Parla di due amici — Hoffman e Masino, il secondo palese alter ego di Pavese — che in un sabato d’ottobre, «trasparente, freschissimo, col sole che pareva filtrato per una cupola diaccia eppure scaldava», sono in barca sul Po, non lontano da Torino, manovrando di punta, cioè con l’ausilio di un palo spinto contro il letto del fiume. Lavorano entrambi per un giornale: il veterano Hoffman alla cronaca, il più giovane Masino con una sua rubrica culturale, «Le Didascalie», dove si occupa di critica cinematografica e altro.
Ecco, quel nome, «Le Didascalie», ti si è subito fissato nella testa. E senza voler peccare di presunzione, hai deciso che era un bel nome per uno spazio sul web che a suo modo si ripropone di fare informazione culturale, per quanto non ad alti livelli.
Detto fatto, la tua nuova pagina su Substack si chiamerà dunque «Le didascalie», con la d di “didascalie” rigorosamente minuscola, per doveroso rispetto verso Pavese.
Del resto, le cose che nel tuo piccolo scrivi sono sempre un po’ didascaliche, abbia o no questo un’accezione positiva. Dunque, va bene così, si parte con «Le didascalie», e quel che ne sarà sarà.