Vitaliano Trevisan
L’autore dell’anno per «Le didascalie» e, senza esagerare, uno dei migliori scrittori italiani del primo quarto di XXI secolo. Da leggere nel modo giusto, al momento giusto
Nel penultimo post ho parlato di La scoperta del mondo 1967-1973, della brasiliana Clarice Lispector (1920-1977), come il libro preferito del 2024. Potrei però essere stato un po’ affrettato in questo giudizio: ripensandoci, forse avrei fatto meglio a indicare Works di Vitaliano Trevisan (1960-2022), nell’edizione ampliata Einaudi del 2022.
Trovato alla “Melchiorre Delfico” di Teramo nello scaffale delle ultime accessioni, mentre ero lì per una traduzione, e afferrato al volo (da tempo me ne riproponevo la lettura), le sue quasi 700 pagine mi hanno letteralmente rapito tra gennaio e febbraio, quando non passava giorno senza che su Facebook ne citassi un passo.
Alla fine, sono andato talmente in trip con Trevisan che dopo Works ho voluto subito leggere il postumo Black Tulips – anche questo preso alla “Delfico” di Teramo – e a fine estate, di ritorno da una tre giorni con il CAI di Ascoli Piceno sulle prealpi vicentine, dunque proprio dai luoghi in cui Trevisan è vissuto, ho scaricato l’ebook della Trilogia di Thomas, contenente i primi tre “non romanzi”: Un mondo meraviglioso, I quindicimila passi e Il ponte. In quest’ultimo caso, non sono andato oltre l’inizio di Un mondo meraviglioso, presto risucchiato da altro, ma appena se ne ripresenteranno le condizioni il completamento dell’intera trilogia è tra le mie priorità.
Alla luce di quanto sopra, se è vero che Lispector mi ha conquistato quest’estate con le “crônicas” raccolte ne La scoperta del mondo, Trevisan è senza dubbio l’autore che nel 2024 ho letto di più e con più trasporto, dunque va a lui il titolo di autore dell’anno. Giudizio peraltro limitativo: se non il migliore, è senza dubbio tra gli scrittori italiani più significativi del primo quarto di XXI secolo. Peccato averlo perso tanto presto.
A illustrazione di ciò, riporto alcuni dei passi che via via ho citato su Facebook, in qualche caso con relativo commento. A parte gli ultimi due (tratti rispettivamente da Black Tulips e da Un mondo meraviglioso), fanno tutti riferimento all’edizione ampliata di Works (Einaudi, 2022), con le pagine indicate in nota.
[S]u proposta di mia madre, finii per iscrivermi all’istituto per geometri, cioè una scuola che, secondo lei, ma, come scoprii in seguito, non solo secondo lei, era una via di mezzo tra il liceo e una scuola professionale; una scuola che, rispetto al liceo, alla fine mi avrebbe dato comunque un diploma, senza dover per forza fare l’università, e, rispetto alle professionali, mi avrebbe dato un diploma per così dire aperto, non così specifico, che avrei potuto in seguito far valere in diversi contesti. Per questo, senza affatto volerlo, per puro ripiego, mi ritrovai a studiare da geometra, senza rendermi conto di quanto quella scelta, o meglio quella non-scelta, sarebbe stata in seguito determinante, e di quanto avrebbe influito in tutte le scelte e le non-scelte che avrebbero segnato il tormentato percorso lavorativo della mia prima vita. Come se le due cose si potessero scindere! Intendo il lavoro e la vita. Chissà, forse per qualcuno sarà anche così. Di certo non è stato e non è così per me. […] [Q]uel primo anno di geometri, [...] quel primo tormentatissimo anno, dicevo, aveva riempito di incertezze circa il mio futuro non solo me, ma anche i miei genitori e specialmente mia madre, cosa che sicuramente aveva influito non poco sul tenore dei loro discorsi, ma è più giusto dire prediche, come detto sempre più spesso incentrate sulla dicotomia lavoro/studio, così che continuamente mi veniva ripetuto che o mi facevo venir voglia di studiare, o dovevo decidermi di andare a lavorare, che una bocciatura non sarebbe stata tollerata, eccetera. Probabilmente anche per questo mio padre, nel momento in cui se ne presentò l’occasione, cioè non appena io stesso, chiedendogli, anzi quasi pretendendo una bicicletta nuova, gliene offersi l’occasione, decise che era tempo di farmi capire da dove viene e, senza nemmeno dirmelo, mi trovò un lavoro.1
Forse avevo un po’ esagerato? Ma esagerato rispetto a che cosa? Le mie tesi erano ben esposte e scritte in modo assolutamente corretto. Dunque perché dal quattro al cinque? Esiste forse, oltre alla grammatica, una grammatica politica, per così dire, a cui bisogna attenersi per scrivere correttamente? Ancora oggi, quando ci penso, quel voto mi brucia, addirittura mi indigna. Resta il fatto che certe cose, oggi come allora, non si possono scrivere, o almeno non senza avere intorno una qualche rete di consenso, cosa di cui l’autore è sprovvisto. Di certo ne era del tutto privo allora, al cospetto della commissione esaminatrice che doveva decidere se fosse o no maturo.2
Si viveva soprattutto in strada. Intendo infanzia e adolescenza. Dalle elementari in su, la cosa che volevamo di più, M e io, e tutti i nostri più o meno coetanei, era appunto star fuori, in strada. Del resto, in casa non c’era nulla, nemmeno la televisione; né c’erano tutte quelle cosiddette attività extrascolastiche, sportive o meno, che oggi informano e opprimono le giornate di ogni adolescente. A casa ci si stava per mangiare, dormire, e fare i compiti, possibilmente in fretta; oppure in punizione. Il resto del tempo a giocare fuori, da bambini, e a combinare casini, da adolescenti.3
Fece la sua scelta senza pensare a me. O forse ci pensò, per poi arrivare alla conclusione che doveva pensare solo a se stesso. Non posso certo biasimarlo. Per tutti, prima o poi, arriva il momento in cui una scelta del genere si pone e, contrariamente a quanto generalmente si è portati a credere, pensare solo a se stessi si rivela spesso la cosa migliore anche per gli altri.4
Commento mio: «Per quanto letto finora, il libro italiano recente che apprezzo di più. L’osservazione di cui sopra, in particolare, trovo che racchiuda una verità che molto spesso fatichiamo a cogliere, ma alla quale perveniamo tutti, presto o tardi».
Comincio a frequentare, anche se solo sporadicamente, gli uffici comunali, il catasto e il genio civile, per consegnare o ritirare disegni e pratiche varie. L’ambiente mi intimidisce oltre il dovuto e aver letto Kafka non aiuta, al contrario: mi fa sentire peggio. Forse leggere non fa sempre bene, o almeno non a tutti.5
Non so più fare quasi niente con le mani, a parte scrivere. No, nemmeno questo è così certo. Sostituire “scrivere” con “digitare”. Il computer non ha cambiato radicalmente solo l’architettura. [...] Una volta non si poteva cancellare e riscrivere come adesso, perciò si pensava di più, prima di metter giù qualcosa sulla carta, che fosse penna o macchina da scrivere. [...] Perché sì: la scrittura è cambiata, ma è qualcosa di più sottile, un po’ come le polveri dell’aria che respiriamo.6
Un consiglio ai lettori più giovani: uno non sa mai quando e dove e se si presenterà mai l’occasione di saldare dei conti, perciò, quando detta occasione si presenta, è bene non lasciarsela sfuggire.7
Commento mio: «In questo libro trovo che Trevisan si prende ampia libertà di saldare svariati conti. Più in generale, penso che chiunque scrive trova modo, prima o poi, di saldare alcuni dei conti in sospeso accumulati nel corso della vita; ovvero, sono dell’idea che nella scrittura è spesso presente un forte elemento vendicativo, ora in maniera velata ora in forma esplicita».
[D]igitavo i miei fottutissimi ordini, aspettando il momento opportuno per farmi avanti. E siccome aspettare è in sé una buona occasione, aspettando feci qualcosa fuori dal normale, così, più per distrarmi che per altro, ma che si rivelò determinante per il raggiungimento del mio scopo, ovvero togliermi da un posto che mi intristiva ogni giorno di più.8
A completare il quadro, già abbastanza deprimente, un personaggio fastidioso e ripugnante come ne ho conosciuti pochi, ma proprio per questo degno di particolare considerazione. L’aspetto fisico prima di tutto, perché più vado scrivendo – questo libro in particolare –, più mi rendo conto di quanto detto aspetto sia in stretta relazione con il lavoro che uno fa, e anche a come lo fa, e più in generale, checché se ne dica, a quanto il corpo, oltre l’abito, faccia quasi sempre il monaco.9
Per tutto il tempo della sceneggiata, senza averne coscienza, avevo tenuto la mano in tasca, e nella mano il coltello. Curioso, pensavo, in una situazione del genere ci si aspetterebbe che fosse il napoletano, non il veneto, ad avere un coltello in tasca. Ma che cos’è l’Italia, pensai alzandomi e incamminandomi verso il Pantheon, se non un conglomerato di luoghi comuni. Prenderli a martellate, è uno dei miei compiti.10
Commento mio: «Non sono lontanamente un esperto di letteratura, ma dopo aver letto 500 delle 690 pagine di questo memoir – anche se definirlo “memoir” credo sia riduttivo – per me questo è il libro italiano più bello che ho avuto in mano negli ultimi anni. Mi permetterei di definirlo il “grande romanzo del Nordest” dell’ultimo mezzo secolo, ma per tanti aspetti travalica anche questa dimensione».
Quanto a sabati e domeniche, se le tenessero pure, inverno o estate che fosse. A me non interessavano. Meglio i miei giovedì, giorno in cui si sente chiaro che gli animi iniziano ad alleggerirsi; meglio i miei venerdì, quando si può uscire la sera senza sentirsi oppressi dalla disperata ansia di divertimento che pervade l’atmosfera del sabato. E riguardo alle domeniche, e alle altre feste comandate, era un sollievo poter lavorare in quei giorni che mi facevano sentire più forte tutta la mia solitudine.11
Europa o Africa, sul fatto che avrebbe avuto figli non aveva dubbi. Che io, a quarant’anni, non ne avessi né facessi niente per averne, la sconcertava, come del resto, di noi oyibo, la sconcertavano un sacco di altre cose. Ah! And then what?, diceva. Mi ricordava i miei genitori. Se uno, o una, non si sposa e non fa dei figli, cosa è venuto al mondo a fare? Domanda che, da ragazzo e poi da giovane, liquidavo come ridicola, e ora, passando per Ade, mi sembra meno ridicola perché, con gli anni, essa ha assunto un peso specifico che prima non aveva, molto per apporto esterni, dovuto ai ticchettii di orologi biologici non miei, ma da un po’ anche per qualcosa che viene da me; niente a che fare con qualsivoglia istinto o peggio desiderio di riproduzione, che non avverto né ho mai minimamente avvertito, solo una riflessione su che cosa sia la vita in generale, comprendendo anche quella vegetale, minerale eccetera. Ecco un ambito in cui il pensiero razionale è utile solo a determinare il fatto che il tema stesso è razionalmente pensabile. Al massimo si può sentire, e, per come sento, Ade ha ragione, e io non ho torto.12
Commento mio, completata la lettura di Black Tulips: «Non al livello di Works, ma sempre apprezzabile. Crudo, ma con un suo perché. Per lettori e lettrici che non si sottraggono a temi forti e, a loro modo, controversi: qui si parla in particolare di prostituzione, lato offerta – nigeriane nello specifico, ma anche più in generale – e lato domanda, Trevisan in primis, con la sua intensa frequentazione, talora in veste di facilitatore».
Nel corso della vita [...] il momento ideale per leggere un determinato libro si presenta una sola irripetibile volta, se non si approfitta del momento ideale si perde un’occasione che non si ripresenterà più e il libro in questione perde di valore e di significato e di senso e leggerlo diventa inutile, una perdita di tempo, uno spreco di energie, e niente conosco di più triste della sensazione di aver letto un libro inutile e senza senso, avendo sprecato così del tempo preziosissimo. Col passare degli anni, pensavo, io sono divenuto un lettore accorto e smaliziato, maestro nell’arte di leggere i libri giusti, per me, nel momento ideale, per me, e non ho mai, o solo in occasioni rarissime, la sensazione di sprecare il mio tempo mentre sto leggendo un libro, perché sono certo che quel libro lo sto leggendo nel modo giusto, perché quello è il momento giusto, il momento ideale, per leggere quel determinato libro che sto leggendo, non prima, non dopo. Se lo leggessi troppo presto non sarei pronto e perderei qualcosa, se lo leggessi troppo tardi non avrei più lo spazio adatto dentro di me e perderei lo stesso qualcosa.13
Commento mio conclusivo, per ora: Leggere Vitaliano Trevisan è un po’ come leggere il «flâneur aux idées noires» Cioran: tra i due non si sa chi sia più cupo. Ma entrambi, ognuno a suo modo, oltre a essere spietati in ciò che pensano e scrivono, hanno il dono di una scrittura superlativa, da veri maestri di stile. Avercene così.
Vitaliano Trevisan, Works. Edizione ampliata, Einaudi, Torino 2022, pp. 18-19.
Ivi, p. 49.
Ivi, p. 73.
Ivi, p. 78.
Ivi, p. 114.
Ivi, p. 123.
Ivi, p. 216.
Ivi, p. 280.
Ivi, p. 320.
Ivi, pp. 501-502.
Ivi, p. 603.
Vitaliano Trevisan, Black Tulips, Einaudi, Torino 2022, pp. 42-43.
Vitaliano Trevisan, Un mondo meraviglioso, Einaudi, Torino 2003.